Sollevò il capo ed un pallido raggio di sole sfiorò
Valentina Vitale
Carissimo/a,
Voglio entrare con te, per un momento, nel mondo delle fiabe per ritrovare la dolcezza di antichi sapori mai dimenticati.
C’era una volta, fra i trenta ed i quaranta anni fa, un piccolo lupacchiotto che nascondeva dietro il fiero pelo pronto ad arruffarsi, animo gentile e sensibilità di sentimenti. Gli piaceva perdersi nei boschi con i suoi piccoli amici, intrecciava felci per farne tavoli, si arrampicava gareggiando con gli scoiattoli sulle cime degli alberi più alti e, stando fermo lassù, cercava con lo sguardo la sicurezza della tana da poco abbandonata. Amava il gioco il piccolo lupacchiotto ed era convinto, nella sua originaria innocenza, che l’intera esistenza sarebbe stata così: un grande unico gioco in cui perdersi, ritrovarsi, raggomitolarsi.
Essendo naturalmente incline a vivere in comunità con gli altri abitanti della foresta, si fermava ad aspettare la tartaruga che non aveva mai fretta, ospitava sul naso una candida farfalla smarrita, offriva la sua forte zampetta alla cerbiatta ferita dal cacciatore nascosto. Obbediva alla legge della natura e del mondo, se ne sentiva parte integrante, importante. Durante il giorno si abbandonava ad una intensa attività; era sempre il primo ad alzarsi. Risistemava le foglie che gli erano servite da lettino, accendeva i fornelli per accogliere gli altri lupacchiotti col profumo di una colazione fragrante, correva fino al fiume per riportare secchi colmi d’acqua. Divideva con i compagni la fatica del campo, la rissa scherzosa, la dolcezza di un silenzio compreso; la sera sedevano tutti insieme intorno ad un grande fuoco chiacchierando e tendendo le mani verso le stelle dei sogni.
Un giorno, uguale a tanti altri, il piccolo lupacchiotto si lasciò tentare dalla bellezza di un sentiero appartato che sembrava desideroso di rivelarsi alla sua curiosità di cucciolo. Baldanzoso e sicuro di sè, seguendo l’istinto primordiale, si inoltrò in quella sorgente di nuove scoperte. Camminava guardandosi intorno e fermandosi solo per ascoltare il battito del proprio cuore. Mentre stava lì, incerto se proseguire o tornare al caldo tepore degli amici, improvviso un gelido vento si alzò; proveniva dall’interno della foresta e mano a mano che rotolava fra sentieri e radure cresceva, mandava lamenti, abbatteva le tenere piante ancora bambine. D’improvviso il piccolo lupacchiotto, impaurito ma ancora sicuro di sé, si sentì sollevare, strappare dal tenero grembo dei prati. Cercò di aggrapparsi agIi alberi, ai rami, ai fiori delicati; lottava con tutte le sue forze per resistere alla furia del vento ma le sue zampette incontravano il vuoto dell’aria nemica.
Dopo un tempo infinito il turbine si fermò lasciandolo preda di una spina che più lesta delle altre lo punse, quasi a rubargli la vita. Stordito, confuso per terra rimase ed il tempo passò. Lentamente si mosse e sulle zampe si sollevò. Si sentiva, stranamente, più alto. Guardandosi attorno vide accanto a sé la pelle un po’ arruffata e macchiata di un piccolo lupacchiotto, più in là c’era la spina. Sollevò il capo ed un pallido raggio di sole sfiorò.
[Questa fiaba è stata originariamente pubblicata su “La Lettera”, Periodico di informazione sulla vita della Comunità Masci Lamezia T. 1, Anno II (2001) n. 3]