I nuovi sofisti e la deriva dell’Occidente

Il dramma più grande della nostra epoca, tra la fine del XX sec.  e l’inizio del XXI, è la fine della ricerca del ‘vero’ e il ritorno dei sofisti.

Italo Leone

Nell’Atene del V sec.  a.C. ebbe fortuna, presso i ceti più potenti e che aspiravano a far sentire la propria voce nell’assemblea dei cittadini, un gruppo di uomini definiti sofisti, cioè uomini colti e capaci di saper esporre le proprie argomentazioni in modo efficace e convincente. Per definizione il loro fine non era di proporre una qualche verità, ma di convincere quanta più gente possibile che quello che sostenevano sui più vari argomenti, dalla morale alla religione o alla politica, era da considerarsi giusto. Ciò che contava era proprio l’abilità retorica nel convincere.Il più grande dei sofisti, Socrate, sostenne invece, con abilità argomentative proprie dei sofisti, che al di là delle varie argomentazioni il saggio dovesse cercare il ‘vero’, perché solo nella verità è il bene del singolo e della polis di cui il singolo è parte. E la verità è ciò che resiste a tutte le argomentazioni anche brillanti, ma tutte discutibili al lume di un esame razionale. Dalla filosofia di Socrate proviene l’ansia con cui per più di due millenni il pensiero occidentale ha dato risposte alla ricerca del ‘vero’, da Platone al cristianesimo e poi alla filosofia laica di Cartesio fino alla filosofia del secolo passato.
Il dramma più grande della nostra epoca, tra la fine del XX sec.  e l’inizio del XXI, è per me la fine della ricerca del ‘vero’ e il ritorno dei sofisti. I nuovi sofisti sono più smaliziati di quelli antichi, capaci di servirsi spudoratamente delle nuove tecniche della comunicazione di massa, ma pur sempre convinti che ciò che conta per aver successo in politica non è il ‘vero’, che richiede comunque convinzioni forti, valori morali, una fede in qualcosa di non effimero o legato alle mode del ‘si dice’ e ‘si fa’ così perché tutti o molti lo fanno o perché conviene a me o al gruppo di cui faccio parte.
Quelli della mia generazione hanno vissuto gli anni difficili del dopoguerra e hanno avuto la fortuna di assistere ad una crescita del benessere a livello nazionale ed europeo che mai si era vista in passato. Hanno goduto e godono di 70 anni di pace nel continente europeo, e questo non avveniva dai tempi dell’Impero romano. Hanno visto per molti decenni il mondo diviso in due grandi blocchi politico-militari, la NATO e il Patto di Varsavia, sostenuti ambedue da ideologie forti. Il liberalismo ha difeso i diritti del cittadino e del privato, e dall’altra parte trionfava l’utopia di una società comunista internazionale che si poteva realizzare soltanto col controllo ossessivo delle libertà dei cittadini e con la pianificazione di un’economia affidata allo stato. Il tempo ha mostrato i limiti e le aberrazioni di questa interpretazione del marxismo.
Dalla fine della seconda guerra mondiale l’Italia e l’Europa sono progredite come mai prima, coniugando le libertà dei singoli e dell’impresa economica con la necessaria attenzione al bene pubblico dei cittadini, favorendo l’inserimento nel tessuto sociale ed economico delle fasce più deboli della popolazione. I governi sono stati sostenuti da partiti o coalizioni che rappresentavano la maggior parte del ceto medio con orientamento moderato ma aperto ai cambiamenti che la società imponeva a mano a mano che cambiavano le condizioni di vita. 
La fine del comunismo è stata la fine di un’utopia, ma il successivo liberismo sfrenato nell’economia, nella finanza e nei costumi, come possiamo constatare ogni giorno dalle cronache, ha creato sperequazioni sociali sempre maggiori e l’assottigliarsi di quel ceto medio che aveva garantito stabilità ai governi e crescita economica sostenuta dai consumi interni. Economia e finanza, nell’era di internet e della globalizzazione, sono fuori dal controllo dei singoli stati. Ma nessuno a livello politico in Europa o negli Stati Uniti vuole affrontare un problema che toccherebbe decisamente quei gruppi di potere della finanza e delle multinazionali che negli ultimi trent’anni hanno tratto profitti enormi da tale condizione. Il conseguente disagio scaturito dall’impoverimento di nuove fasce sociali e la migrazione di grandi masse che sfuggono alla povertà o alle guerre, trova risposte che puntano sulla paura, sulla difesa di una condizione di privilegio, sul rimpianto di un tempo passato che si vorrebbe far ritornare. Pochi, inascoltati, quelli che affermano che la grande quantità di armi che alimenta queste guerre viene dalle industrie dei paesi occidentali; gli stessi che poi intervengono in tali guerre per difendere i popoli dalle violenze; pochi dicono che questi interventi militari ‘umanitari’ sono favoriti da interessi economici strategici di grandi gruppi; nessuno dice che dopo questi interventi la situazione delle aree interessate è più destabilizzata di prima. La retorica dei nuovi sofisti inneggia alla chiusura delle frontiere, al ritorno all’Europa dei piccoli stati, al ritorno alla lira perché se le cose vanno male è colpa dell’euro, alla costruzione di muri per difendere le nostre cittadelle fortificate. E’ quello che accadde durante la lunga decadenza dell’Impero romano e sappiamo bene come è finita!

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