L’uscita sugli schermi del film dedicato al capolavoro di Saint-Exupéry ripropone l’attualità di un libro che da settant’anni parla al cuore degli uomini e ci dice, ancora oggi, molte cose.
Francesco Marchetti A/S
Ho incontrato “il Piccolo Principe” per la prima volta in età adulta, nei “Seminari di animazione” del Masci. Da allora, questo bambino dai capelli color del grano è stato “il mio compagno di strada”, un compagno che passo dopo passo con i suoi interrogativi, apparentemente ingenui, mi ha insegnato che «…non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi…».
Oggi, l’uscita sugli schermi del film dedicato al capolavoro di Saint-Exupéry ripropone l’attualità di un libro che da settant’anni parla al cuore degli uomini, e ci dice, ancora oggi, molte cose. Il film di Mark Osborne ha un inizio, un po’ alla Hemingway del “Vecchio e il mare”: una ragazzina conosce un vecchio aviatore che gli racconterà la storia del suo incontro con lo strano bambino.
Un libro così celebre da essere tradotto in 253 lingue e aver venduto 134 milioni di copie non poteva non diventare film (il primo è del 1974). Certo, è parte del gioco – e del rischio – della fama, ma quella che ci interroga da settant’anni è sempre la medesima domanda: che cosa ci voleva dire Saint-Exupéry con questo libricino scritto apparentemente per i bambini?
Domanda ingenua, come sarebbe ingenuo colui che pensasse che davvero questo sia un libro solo per ragazzi. In realtà è un libro “anche” per adulti. E’ un libro che cambia ad ogni lettura, perché ogni volta che rileggo il medesimo testo, mi appare, nelle stesse righe, qualcosa che prima non avevo colto, un po’ per le mie nuove esperienze, ma un po’ anche perché un libro, direbbe Umberto Eco, possiede significati illimitati. Una storia letta e riletta decine di volte può conservare ancora un angolo di verità ulteriore? di mistero? Sì, amici, e il “Piccolo principe” è una di queste.
Porsi in ascolto di questo bambino venuto da un pianeta lontano, l’asteroide B612, porsi in ascolto delle sue domande, seguire la sua fantastica avventura, il suo viaggio fra i pianeti, equivale a trovare le risposte necessarie ad un rinnovamento, non inteso in senso generale, ma che va a cogliere le ferite aperte del nostro presente. Il “Piccolo Principe” diventa così non solo una guida sapienziale per tutti, giovani e meno giovani, ma soprattutto una storia entro cui ricercare le tracce di un progetto di “educazione permanente” rivolto o noi stessi, che ci porta a superare l’attaccamento al nostro mondo per scoprire la bellezza di altri mondi.
In termini concreti il libro di Saint-Exupéry, e di conseguenza il film, è un contributo essenziale per una proposta di inteculturalità, in grado di rendere meno evidenti i conflitti, fino a superarli definitivamente. Per fare ciò è necessario disporsi ad un’apertura mentale, non fittizia, ma reale. Il Piccolo Principe non si può capire, perché anche lui è un’autointelligibilità, cioè solo lui è in grado di capire se stesso. Solo se mi metto in relazione con lui e sono pronto ad entrare nel suo mondo egli può aprirsi nei miei confronti. E’ questo uno degli atteggiamenti che caratterizzano il viaggio del nostro protagonista. Il viaggio di mondo in mondo aiuta il Piccolo Principe ad imparare a conoscersi e correggere il modo di vedere le cose del suo mondo.
In una epoca in cui le culture affondano soffocate dalla globalizzazione e dall’ integralismo, Saint-Exupéry, con questo piccolo libro, rilancia la sfida della diversità non come opposizione e origine di conflitti, ma in quanto strumento di pace.
E’ una urgenza di cambiamento quella che segnala Saint-Exupéry, attraverso il Piccolo Principe. Da lui si può imparare che l’estraneità e la diversità fanno parte di ogni incontro e che proprio attraverso di esse possiamo scoprire il mistero dell’altro, come ci insegna la Volpe saggia « …gli uomini comprano tutto dai mercanti, ma i mercanti non vendono “amici” e così gli uomini non hanno più amici, se vuoi un amico addomesticami…». Solo con l’imparare ad “addomesticarci” vicendevolmente, l’espressione “io non ti capisco” non avrà più senso e lo straniero non farà più paura.