I complessi di colpa dell’Occidente e le stragi terroristiche

Proprio quando la realtà dei fatti richiederebbe dalla classe politica e dalla società dei Paesi europei la freddezza dell’analisi e la coerenza dei comportamenti, dopo l’indignazione iniziale si ricade nelle frasi stereotipate, nell’ignavia dei rinvii delle decisioni come se la storia aspettasse i nostri comodi per realizzarsi.

Italo Leone

20151113-Attentato a ParigiIl XXI secolo è iniziato nel peggiore dei modi: l’attacco alle Torri Gemelle a New York, le stragi a Madrid, Londra, Parigi, gli attentati quotidiani a Gerusalemme e nelle principali città dell’Africa mediterranea, le minacce a Roma e alla Chiesa. E’ solo una rapida sintesi di ciò che è accaduto e sta accadendo e di cui l’ultimo terribile episodio è la serie di stragi di Parigi della sera di venerdì 13 novembre 2015.
Capire cosa sta succedendo, prendere decisioni politiche su tali eventi non è facile. L’Europa non ha mai goduto di un così lungo periodo di pace dopo la seconda terribile guerra mondiale e le generazioni nate negli ultimi decenni del secolo scorso faticano a concepire la guerra e la violenza terroristica come una possibile opzione di risoluzione dei contrasti tra popoli. Paradossalmente proprio lo strumento creato nel dopoguerra per risolvere tali contrasti è oggi assolutamente assente sul piano mondiale e, per varie ragioni inerenti alla stessa sua struttura, inefficace. La Comunità europea, nata negli stessi anni del dopoguerra dalla lungimiranza di quegli statisti che ritenevano che proprio i contrasti tra le due grandi potenze dell’Europa centrale – la Francia e la Germania – fossero stati all’origine di secoli di guerre in Europa, e che solo una Comunità Europea che comprendesse gli stati vincitori e vinti in un vincolo economico e politico potesse porre fine a tali rivalità, stenta oggi a recuperare quegli alti ideali e sembra limitarsi a un accordo monetario da cui i singoli stati sperano di ricavare il massimo vantaggio possibile, restando ciascuno padrone in casa propria a coltivare l’orticello del proprio gruppo politico. Proprio quando la realtà dei fatti richiederebbe dalla classe politica e dalla società dei Paesi europei la freddezza dell’analisi e la coerenza dei comportamenti, dopo l’indignazione iniziale si ricade nelle frasi stereotipate, nell’ignavia dei rinvii delle decisioni come se la storia aspettasse i nostri comodi per realizzarsi. Oggi solo le parole di Papa Francesco, che nel nome stesso si richiama al messaggio francescano di povertà e amore ma anche di fermezza nella difesa dei valori cristiani presenti in forma laica nelle Costituzioni dei Paesi  europei e americani, sfuggono all’ipocrisia imperante. Dopo la fine dell’Unione Sovietica ci siamo illusi che si aprisse un’era di pace e di sviluppo, ignorando una serie di segnali che ci dovrebbero indurre a riflettere:

  • Il crollo delle ideologie ha spostato l’azione politica da una pur tenue coerenza con dei valori generali al perseguimento di interessi individuali e, nel caso migliore, di interessi del proprio gruppo politico. Gli scandali a catena lo dimostrano ampiamente come dimostrano che la sola azione della magistratura è insufficiente a frenare il fenomeno.
  • Il declino dell’azione educativa nelle famiglie e formativa nella scuola sta contribuendo ampiamente al degrado.
  • La televisione e la digitalizzazione delle comunicazioni telefoniche, fruite senza una capacità dei giovani utenti di selezionare contenuti e esercitare un giudizio critico, porta alla superficialità dei giudizi e al relativismo culturale; che non è, si badi bene, apertura mentale verso le altrui idee ma incapacità di costruirsi criticamente un proprio mondo culturale.
  • L’abbandono cieco alla tecnologia nella carenza di una consapevolezza storica delle proprie radici non può che creare una folla di sradicati asociali, costretti spesso a rifugiarsi nel solipsismo autoreferenziale della realtà virtuale, nella sfrenatezza della musica delle discoteche, nella droga.
  • Il bisogno di certezze che la cultura di oggi non riesce più a offrire favorisce il diffondersi in Europa e negli Stati Uniti di associazioni estremistiche, inneggianti all’intolleranza e alla violenza, in cui con le parole di Nietzsche il dionisiaco prevale sull’apollineo.
  • Non è un caso che tanti cittadini europei, oltre a musulmani di seconda e terza generazione, trovino nell’Islam quei valori e quelle certezze che la cultura occidentale stenta a offrire.
  • A ciò si aggiunge che ci troviamo oggi di fronte a un Islam frammentato sul piano religioso e in lotta fra le sue varie anime, che però è unito nel richiamarsi alle proprie tradizioni e che, negli aspetti più estremi, è alla ricerca di una rivalsa sull’Occidente e sui valori cristiani dopo secoli di sudditanza politica e culturale. E’ stato così per Al-Qaeda, e in particolare per l’ISIS in cui si immagina una rinascita del Califfato e la supremazia su tutti quei Paesi che costituirono storicamente il Califfato, non escluse la Spagna e la Sicilia.

Se tale analisi è corretta, insistere nei luoghi comuni di “guerra di religione” e di “chiusura delle frontiere” è superficiale o funzionale a gruppi politici che credono di ottenere consenso. D’altra parte, il buonismo imperante che giunge al ridicolo di togliere il crocefisso dalle aule o di non mandare i ragazzi a visitare una mostra di arte sacra per “non offendere” chi crede in un’altra fede è proprio il segno del degrado culturale di cui parlavo prima. Gli errori che il mondo occidentale ha compiuto e compie nella gestione del problema islamico ci hanno portato a guerre inconcludenti e alla destabilizzazione in Libia, in Egitto, in Irak, in Siria. L’Europa deve andar oltre la miopia di una semplice integrazione economica e procedere verso una maggiore integrazione politica, creando anche un apparato militare integrato che sia efficiente e moderno. L’ONU deve tornare a essere il luogo dove si assumono decisioni a livello globale in un mondo globale.

Mi piace concludere con un concetto ben presente nel fondatore della scienza politica, l’italiano Machiavelli: in guerra, che è la prosecuzione della politica con altri mezzi, non ci sono vie di mezzo. Non ci sono guerre per portare la pace: o la guerra si fa come tecnicamente si deve fare, o è meglio non farla. Farla pretendendo di essere buoni è solo da ipocriti e politicamente scatena l’odio dei popoli sul teatro di guerra. E’ una variante della regola che vale in medicina contro i batteri nelle infezioni: l’antibiotico non va preso a metà altrimenti i batteri non decimati hanno il tempo di adattarsi e l’infezione diventa più grave.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.