Libera sintesi del capitolo “Il servizio” (pagg. 70-83) del libro “Vita in comune” di Dietrich Bonhoeffer (*), a cura di Francesco Marchetti
Il 9 Aprile 2015 è stato il 70° anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer, il teologo evangelico che esplorò il significato della fede cristiana in un «mondo diventato adulto». Arrestato per aver partecipato a un complotto contro Hitler, fu impiccato a Flossenbürg il 9 aprile 1945.
Paradossalmente dobbiamo ringraziare la Gestapo se Dietrich Bonhoeffer ha scritto “Vita in comune”. Infatti la polizia segreta, alla fine del settembre 1937, aveva chiuso, insieme ad altri istituti della chiesa protestante, anche il “Seminario per predicatori” e la “Fraternità Finkenwalde”, diretti da Bonhoeffer, fraternità nel cui ambito un gruppo di pastori alle prime armi aveva cercato di praticare una “vita in comune”. Quindi al centro di questa testimonianza sulla vita in comune, stesa di getto nel 1938, sta una esperienza concreta. Il vivere in comunità, per Bonhoeffer, non mira a estinguere l’io del singolo, bensì a rendere ciascun soggetto una persona libera, forte e adulta nell’assunzione delle responsabilità che la vita implica, sia per se che per gli altri.
“Colui che vorrà diventare grande tra voi, sia il vostro servo” (Marco 10,43)
“Sorse poi tra loro una questione: chi di loro fosse il maggiore (Luca 9,46)” Conosciamo chi semina pensieri del genere in seno alla comunione cristiana. Forse non riflettiamo a sufficienza sul fatto che non può esservi comunità cristiana senza che immediatamente affiori questo pensiero, come un seme della discordia. Basta che delle persone stiano insieme, per cominciare subito a studiarsi, a giudicarsi a classificarsi. Già sul nascere, comincia così nella comunità una tremenda lotta, di cui a volte non ci si rende conto, perché spesso rimane invisibile agli occhi.
”Sorse poi tra loro una questione: chi di loro fosse il maggiore…”
Basta questo per distruggere una comunità. Quindi è una necessità vitale che ogni comunità cristiana fin dall’inizio tenga presente e cerchi di estirpare questo pericoloso nemico: non c’è tempo da perdere, infatti fin dal primo momento dell’incontro con l’altro, ciascuno cerca di occupare una posizione strategica da poter mantenere e difendere e non lascerebbe mai ad un altro questa posizione, posizione per la quale è disposto a lottare con tutte le sue energie, spinto dall’istinto di autoaffermazione; e può anche darsi che questo si verifichi con forme e ritualità quanto mai corrette, ma l’importante è che la comunità cristiana si renda conto che si porrà inevitabilmente la questione “chi di loro sia il maggiore”…e che basta questo per distruggere una comunità”.
In una comunità di fede e di servizio, chi vuol imparare a servire, prima deve imparare ad avere di se stesso una opinione modesta: “io dico ad ognuno di voi di non stimarsi più di quanto si deve (Romani 12-3)”. La cosa più importante nella vita di comunità è imparare a conoscere prima di tutto se stessi ed i propri limiti così da non avere della propria persona una opinione troppo grande, la vera sapienza si dimostra nel non dare a se stessi troppa importanza e viceversa nell’avere sempre una buona opinione degli altri.
Il non ritenersi particolarmente saggi, il porsi tra i meno importanti, significa, se andiamo alla sostanza delle cose, e se ci esprimiamo con schiettezza, ritenersi solo un peccatore e non certo il più piccolo dei peccatori.
Qui, su questo concetto, si scatena il rifiuto più completo dell’uomo naturale, ma anche quello del cristiano fiero di sé, suona come una esagerazione come qualcosa di falso. Eppure lo stesso Paolo, ha detto di ritenersi il primo ed il più grande dei peccatori; e dice questo proprio nel contesto in cui parla del suo servizio di apostolo.
A questo livello di umiltà deve giungere chi voglia servire i fratelli e quindi la comunità, perché chi ama la comunità la distrugge, chi ama i fratelli costruisce la vera comunità.
(*) Dietrich Bonhoeffer
“Vita in Comune”, 116 p.,
ed. Queriniana, Brescia.